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Psicologa

Micaela Fratus

La depressione che rende depressi

Quando si cerca di definire la depressione si apre sempre un contenitore infinito di sfumature, di sintomi a volte in contraddizione tra loro e di espressioni differenti. Non a caso spesso è più corretto parlare di depressioni al plurale per indicare una condizione che, tolti alcuni aspetti comuni di fondo, può portare alla sofferenza in maniera molto varia.

Aspetti come l’umore depresso, la perdita di interesse nelle attività, le variazioni di peso, l’alterazione del sonno e dell’attività psicomotoria sono tipici della sintomatologia depressiva, ma non sempre, però, sono presenti. Forse è più utile focalizzarsi su aspetti come la mancanza di energia, i sentimenti di auto-svalutazione e di colpa e la ridotta capacità di pensiero e di concentrazione. Sembra che ciò che accomuna le persone depresse sia una visione di sé negativa e fallimentare, legata a una visione del mondo come irrimediabilmente problematico e a un futuro che non può che riservare negatività e delusioni.

Il tema della perdita sembra essere persistente e centrale nei pensieri di queste persone: essa non è vista solo come effettiva mancanza di qualcosa di cui prima si disponeva o di qualcuno su cui si poteva contare, ma anche come fallimento, insuccesso e incapacità.

Come per ogni difficoltà psicologica, nella quale possiamo inciampare, non sono tanto gli eventi negativi esterni a determinare lo sviluppo di una depressione, ma gli schemi personali sui quali basiamo i nostri pensieri, le nostre impressioni, le nostre interpretazioni e le nostre azioni. Certo, alcuni episodi spiacevoli possono funzionare da innesco, da miccia, ma ciò che è fondamentale sono le nostre abitudini di pensiero e di interpretazione di ciò che succede.

Sebbene nessuno ami portarsi sulle spalle il peso di un umore depresso e di tutto quello che ne consegue, ci sono degli aspetti che fanno in modo che la depressione rimanga incollata alle nostre suole trasformandosi nella nostra ombra, come Peter Pan che, pur di non farla scappare l’ha cucita direttamente alle sue scarpe.

Di cosa stiamo parlando? Ci sono dei “circoli viziosi” che sono come quei cani che si mordono la coda e che continuano a girare su se stessi per afferrarla. Nello specifico la sensazione di provare fatica nel fare le cose (faticabilità) aumenta la nostra passività che ci porta a credere che qualsiasi attività, anche quella più semplice, anche quella che abbiamo sempre fatto, ci costi una fatica insuperabile. La passività, inoltre, ci porta a credere di essere incapaci di portare a termine un compito e, più si ha la percezione di fallire, meno si investe per portarlo a termine, ed eccoci, così, al punto di partenza ancora più convinti sulla non riuscita. Anche in questo caso l’anello si chiude e si auto-rigenera. Anche l’ambiente esterno contribuisce al mantenimento dello stato depressivo: l’atteggiamento passivo e la sfiducia in se stessi induce negli altri o atteggiamenti di rimprovero o comportamenti atti a sostituirsi alla persona in difficoltà per aiutarla. In entrambi i casi il risultato è l’incremento del senso di incapacità e di passività che alimenta ancora tutto il percorso.


Cosa può fare lo psicologo? Avere a che fare con la depressione è sempre una questione molto delicata in quanto si è pienamente consapevoli della sofferenza e delle difficoltà a essa connesse. Lo psicologo può fornire accoglienza e comprensione, può chiarire i meccanismi alla base dello sviluppo del disagio emotivo, può fornire un piano pratico di riattivazione e regolazione delle attività di base del soggetto, può aiutare a spezzare le dinamiche disfunzionali sopra descritte, può, infine, indicare quale è il percorso terapeutico migliore per ogni singola situazione di sofferenza.

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Psicologa Psicoterapeuta
Micaela Fratus

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