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Psicologa

Micaela Fratus

La paura del giudizio degli altri

La domanda è semplice: come mai siamo così fortemente condizionati da quello che gli altri dicono di noi, tanto da limitarci in quello che facciamo, in quello che diciamo e, a volte, in quello che pensiamo? Maslow, con la sua piramide dei bisogni dell’essere umano, ha ipotizzato che oltre alle più immediate e basilari esigenze fisiologiche (respirare, dissetarsi, mangiare e dormire) poste alla base, possiamo rintracciare ai suoi vertici la necessità di appartenenza e il bisogno di sentirsi apprezzati mantenendo un’immagine di sé positiva. La natura squisitamente sociale dell’essere umano fa crescere in noi la necessità di appartenere a un gruppo che condivide con noi i nostri interessi, le nostre caratteristiche e i nostri pensieri. Sarà quindi difficile appagare il bisogno di appartenenza se non piacciamo a coloro che dovrebbero accoglierci e accettarci. Senza contare che il parere che gli altri esprimono nei nostri confronti ha una funzione di feedback molto importante perché contribuisce a costruire l’immagine che noi abbiamo di noi stessi. Più i commenti sono positivi più crediamo di procedere nella direzione giusta verso quell'ideale di noi che tanto bramiamo e a cui vorremmo tanto assomigliare. Dare il giusto peso al giudizio esterno al fine di correggere e migliorare il nostro modo di essere potrebbe essere la chiave per raggiungere un buon livello di benessere caratterizzato da una buona autostima, un’immagine di sé solida e delle ottime capacità di relazionarsi con l’altro.

Le difficoltà compaiono nel momento in cui esperienze relazionali precoci precarie o deficitarie (di cui siamo più o meno consapevoli) ci rendono particolarmente sensibili al giudizio degli altri. Se siamo predisposti a credere che l’altro non sia sempre benevolo e ben disposto nei nostri confronti, la nostra attenzione sarà strettamente orientata a quello che gli altri pensano di noi, immaginando spesso scenari catastrofici e tragici. L’essere in balia del giudizio altrui ci rende ansiosi, insicuri e sospettosi fino a sviluppare un vero e proprio disturbo psicologico, dall'ansia sociale, al disturbo evitante di personalità.

La preoccupazione centrale di chi soffre di questi disturbi è quella di sentirsi osservati, di sentirsi in imbarazzo o di essere umiliati in una situazione sociale. Le strategie adottate per scongiurare il pericolo appena descritto possono portare, come in ogni disturbo, a incastrarsi in alcune dinamiche che aggravano la preoccupazione che l’altro abbia un’immagine negativa di noi stessi.

Proviamo ad essere un po’ più pratici. Immaginiamo di trovarci in una situazione per noi nuova, un nostro amico ci ha invitato in un locale con persone che non conosciamo e con cui dovremo passare il resto della serata. Immaginiamo che i nostri primi pensieri (probabilmente ancora prima di entrare nel locale) siano simili a “oddio, dirò sicuramente qualcosa di imbarazzante” oppure “e adesso come mi comporto, cosa faccio, cosa dico” o ancora “sicuramente vedranno che sono timido e non piacerò a nessuno” e così via. E ipotizziamo che abbiamo trascorso ore a prepararci, a chiederci se vestiti così andavamo bene, a pensare a cosa era meglio mangiare, bere e dire. In queste condizioni la nostra attenzione sarà sicuramente selettiva, cioè orientata a pochi stimoli che potrebbero farci capire se la persone che abbiamo intorno stanno pensando a noi o ci stanno osservando a discapito di altri stimoli che potrebbero essere più interessanti e utili per allacciare il discorso con qualcuno (per esempio potremmo essere concentrati sugli sguardi e sulle persone lontane da me che parlano sotto voce per il timore che possano parlare male di noi, piuttosto che focalizzarci sulla conversazione che due persone più vicine stanno avendo così da poterci inserire). Inoltre, la nostra attenzione potrebbe essere orientata verso i più piccoli comportamenti dell’altro al fine di capire se stiamo sbagliando in qualcosa distorcendone, a volte, il vero significato (se la persona sbadiglia o sbuffa, se volta lo sguardo da un’altra parte o se fa un’espressione strana). E ancora potremmo essere fortemente orientati su noi stessi, sullo sforzarci di non mostrare sintomi di ansia e insicurezza che possono essere evidenti per gli altri.

In secondo luogo, se ci trovassimo spesso in difficoltà nelle relazioni sociali, avremmo una memoria ferrea rispetto a tutti quegli episodi in cui le cose non sono andate come avremmo voluto, dimenticando completamente situazioni piacevoli di interazioni con l’altro. E’ come se l’insuccesso pesasse 10 volte tanto il successo. Quindi, mentre cerchiamo di non fare brutta figura tra tutte queste persone, ci verrà sicuramente in mente quella volta che siamo inciampati su un divanetto e tutti intorno a noi hanno riso. Da allora siamo quelli che “sono inciampati nel divanetto”.

Scendendo sempre più in basso nel tunnel della vergogna, potremmo pensare, in maniera del tutto erronea, che gli altri notino i nostri evidenti sintomi associati all'ansia (rossore, tremore, sudore) e che li riferiscono a negatività e inadeguatezza. Non dimentichiamo che probabilmente per tutta la sera potremmo sentirci in ansia e vergognarci ogni volta che qualcuno interagisce con noi o che prendiamo l’iniziativa, anche se minima, come alzarsi e andare in bagno.

Non sembra difficile credere che, sommando tutto quello che abbiamo raccontato, le esperienze sociali che ci portiamo a casa assumono caratteristiche negative, sembreranno difficili, imbarazzanti e poco piacevoli. Quasi sicuramente, saremo portati a pensare e ripensare, anche quando ormai la serata sarà finita, a tutto quello che non è andato, alle difficoltà che abbiamo avuto e all'ansia che abbiamo provato. Con l’andare del tempo, probabilmente saremo portati a chiederci se il gioco vale la candela. Forse sarebbe meglio evitare tutte quelle situazioni che ci mettono a disagio, nelle quali rischio di cadere vittima del giudizio negativo degli altri è per noi così insopportabile da non voler nemmeno pensarci. Ed è proprio qui che il circolo si chiude: come ogni abilità, anche quelle sociali possono essere allenate e se non ce ne prendiamo cura possono diventare inefficaci e poco funzionali. Ci sentiremo sempre più impacciati e incapaci di essere disinvolti di fronte agli altri, di goderci l’interazione e di provare piacere nel conoscere contesti e persone nuove.


Cosa può fare lo psicologo? Nel momento in cui le interazioni con l’altro diventano fonte di disagio, più o meno intenso, lo psicologo può aiutarvi a comprendere i pensieri negativi che generano lo stato d’animo indesiderato, può far luce sulle distorsioni e sui comportamenti errati che alimentano le difficoltà. Inoltre può guidarvi verso la scelta di pensieri e di comportamenti che possano potenziare le capacità di interazione sociale e migliorare il vissuto di quelle esperienze prima temute. Tutto questo può incidere e migliorare la vostra autostima e il giudizio personale di voi stessi. Le vostre interazione potrebbero essere più produttive sia in ambito amicale -affettivo che in ambito lavorativo.

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Psicologa Psicoterapeuta
Micaela Fratus

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